Campionato 1989-90: le avventure di una panchina

Radice all'ombra di Bianchi

Brutto pasticcio nella successione a Liedholm: Viola ha preso il mister del Napoli ma non può utilizzarlo. Così si affida a Gigi. Al quale regala Cervone, Comi e Berthold. Il dramma di Manfredonia a Bologna e il sesto posto conclusivo

Lionello Manfredonia, si poteva capire: «vestiva alla laziale», dicevano i romanisti. Ma Gigi Radice, professionista di grande dignità? Dino Viola aveva appunto scelto lui, Gigi, per sostituire Liedholm, definitivamente uscito di scena, e alcuni settori del tifo giallo rosso organizzarono una gazzarra rispetto alla quale le manifestazioni contro Manfredonia erano state serate da «festa de noantri». Partecipò, con un accanimento che non trovava alcuna ragione, alcun riscontro nella carriera di Radice e nella sua personalità, una parte della stampa. Nelle giornate più generose, più aperte nell' amicizia, Gigi veniva descritto come un rimbambito. Non sarebbe neppure il caso di dire come andò a finire: quei medesimi lapidatori poco dopo andavano a cena con Radice. I tifosi fecero di più, molto di più: elessero l'allenatore loro beniamino; fu il trionfo di Gigi e fu un brutto affare poi mandarlo via. Si, fu proprio una brutta storia quella, che confermò il declino di Dino Viola nono re di Roma: il suo perduto splendore. Il presidente aveva anche. altri affanni, un'altra storia lo tormentava: si avvicinavano i mondiali, l'Olimpico era in via di ristrutturazione (che sarebbe stata in realtà una distruzione), Roma e Lazio erano state sfrattate e sistemate in un alloggio precario e provvisorio: lo stadio Flaminio. Da 80.000 posti a 30.000, il crollo degli incassi. Viola aveva la consapevolezza che questa situazione poteva incidere profondamente e in senso negativo sul futuro della Roma. Per ragioni sue che non era tenuto a spiegare a nessuno -comunque si parlava di fiere opposizioni familiari a nuovi sacrifici finanziari per la squadra- Viola non era più in grado di intervenire direttamente, in modo massiccio per la Roma; i mancati incassi potevano far saltare i precari equilibri. Ci capitò di scrivere, in quei giorni, che i tifosi romanisti al Flaminio sembravano uno spaurito gruppo di sopravvissuti del tifo. Viola si innamorò della metafora e andava sbandierandola in tutte le sedi: a capo dei sopravvissuti, chiedeva soldi al Coni, al Comune, a Roma '90. E fu, in queste condizioni, una campagna acquisti modesta. Radice aveva preteso l'ingaggio del portiere Cervone, e ci furono altre proteste: Cervone non godeva di buona stampa. Quanta ragione avesse Gigi, lo sappiamo adesso: Cervone è ancora lì, alla sua sesta stagione giallorossa, sempre più inserito nel gruppo dei migliori portieri del campionato. Radice volle anche il libero Corni, poi arrivò il tedesco Berthold. Se ne andarono invece i due brasiliani: Renato si portò via tante storie d'amore, forse, ma neppur il ricordo di un gol da raccontare; Andrade pensò di essere uscito dal sogno e di ritrovarsi a casa: come il giorno prima, come se niente fosse successo. Perchè Viola era andato a ficcarsi in un brutto impiccio, con l'ingaggio di Radice? Perchè in realtà l'allenatore della Roma era Ottavio Bianchi, regolarmente ingaggiato dal presidente. PeròBianchi era ancora impegnato con il Napoli, ea Ferlaino non parve vero di fare un dispetto a lui e uno a Viola. Quindi si rifiutò di lasciare libero Bianchi, pagandogli lo stipendio di un miliardo abbondante solo per mandarlo a pesca, sopra Bergamo. Radice era dunque una soluzione provvisoria, un rimedio, uno scaldasedia. Non era l'uomo giusto, non era il tipo, non lo meritava. Si seppe presto la verità, ma Viola negò accanitamente, giorno dopo giorno. E alla fine si trovòincastrato.

Lionello,che paura!

Il 31 dicembre 1989, e nei giorni seguenti, i titoli dei giornali furono questi: «Manfredonia dramma. Un infarto in campo. Vivo per miracolo, è in rianimazione». «Salvo, ma si teme per il cervello». «Ore d'angoscia: Manfredonia, il cuore si è fermato due volte. Colpito da infarto, si è accasciato privo di conoscenza. Tenuto in vita con massaggi cardiaci durante la corsa verso l'ospedale». «Viola disperato: avevo paura di non poterlo più riabbracciare, credevo fosse morto». Tutte queste cose successero, sabato 30 dicembre 1989, mentre la Roma giocava a Bologna. Due giorni dopo: «Per Manfredonia miracolo e mistero. Sta molto meglio, forse oggi si alzerà, ma si discute sulle cause del suo malore. Dopo una notte insonne ha chiesto: fatemi uscire». In aprile: «Per Manfredonia, l'addio è ufficiale. La sentenza dei medici è definitiva: vita normale ma niente più sport da professionista». Un anno dopo parlava lui, Lionello, per dire soltanto: «Felice di avere scoperto la vita». A Bologna, quel 30 dicembre, il suo ultimo avversario era stato Bruno Giordano. Proprio dopo un duello con Bruno, cinque minuti appena di gioco, Lionello aveva barcollato: quattro passi sbilenchi, poi il crollo e la grande paura. Giordano sgomento: erano stati «i gemelli», poi la storia delle scommesse e della squalifica aveva creato certi disagi tra loro, poi c'erano stati altri malumori per fatti privati. Giordano non avrebbe mai voluto vincere quell'ultimo duello. I romanisti seppero quanto affetto nutrivano per Lionello, del resto già diventato un leader, anche in giallo rosso. Radice riuscì a governare con mano sicura la Roma, tra tante sfortune e tra le ambasce di Viola. Ormai la piccola folla del Flaminio era tutta con lui: striscioni e cori, Gigi nostro. La Roma ottenne un insperato sesto posto, e in Coppa Italia fu eliminata in semifinale dalla Juventus. Gigi nostro, che però si rifiutava di credere di essere solo di passaggio. «Viola non mi ha detto niente», ripeteva Radice, e faceva progetti. Ecco perchè fu molto scomodo poi, per il presidente, rivelare la verità.

Tratto da La mia Roma del Corriere dello Sport

 

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